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La malinconia è il lato più bello della tristezza
F. Dima
Un giorno ti svegli
e di colpo ti accorgi
che il tempo si invola,
il tempo delle mani imbrattate
di accesi colori
da un pezzo è passato.
Ti fermi, rifletti a pensare a quel bimbo,
che il naso bagnava come un dolce biscotto,
nella ciotola calda di latte e caffè.
Adesso ti aspetta un mondo più nuovo
di gioie e dolori
che a battito a battito ben presto si invola.
Tu pensi a tuo padre, si fa sempre più vecchio
non racconta più favole, non ti prende per mano
il tempo per lui è già quasi finito.
Se un giorno tu pensi a quell’’umile casa
dove il tempo passava come un giardino fiorito
adesso tuo padre ti sembra più stanco
non racconta più favole, non ti prende per mano
a battito a battito presto si invola,
di lui non resta che un dolce ricordo,
il ricordo di un fiore del giardino fiorito.
Vorrei conoscere l’odore del tuo paese
respirare l’odore del tuo giardino,
parlare vorrei con la gente avanti negli anni
parlare con loro dei giorni passati.
Vorrei toccare i muri e non solo
guardare tutti dentro i lori cuori,
con te vorrei andare
dove non sono mai andato
parlare di cose mai parlate.
fare comunque cose mai fatte.
Vorrei respirare ancora
l’odore forte del tuo bel giardino
accarezzare come mai fatto
i fragili petali del fiore di loto.
Scorre tersa l’acqua di questo fiume
scorre fra felci e rifiuti umani,
scorre, si gira e rigira
fra mille ostacoli umani,
in lei tremolante vedo il mio viso riflesso.
Tersa scorre lasciando
come lumaca la sua scia
si colora, si scolora,
fra mille rifiuti umani.
Evapora in rigonfie nuvole nere
ricade, si schianta, rimbalza,
camaleonticamente muta,
affonda nella madre terra, sparisce,
il ciclo vitale fra mille rifiuti umani finisce.
Mentre il sole, si apprestava a tramontare
forse più velocemente del solito
dietro i monti di Giuda nella terra di
Betlemme s'annunciava
un evento a dir poco straordinario
tanto che l’aria stessa palpitava
per la lunga attesa.
Quella sera non era una sera qualunque,
quella sera era una sera straordinaria
la sera che prometteva la più grande sorpresa
di tutti i tempi.
Mentre il giorno lasciava posto alla notte
e questa si vestiva di nero,
una quieta surreale avvolgeva le vie di Betlemme,
in cielo come un cavaliere errante
passeggiava una stella dalla lunga coda
fulgida e splendente
mentre solo il rumore del silenzio
per le vie si riusciva a sentire
angoli e scorci illuminati da fioca luce
di candela e lumi,
mentre la lunga e strana stella
come lampo illuminava quel prescelto luogo.
Tutti sapevano di un magico evento
tutti sapevano che quella sera, quella notte
sarebbe accaduto un evento
che avrebbe cambiato il mondo intero
e per sempre.
Le osterie quella sera
erano piene di forestieri,
di dotti e cavalieri
ognuno voleva essere li,
ognuno era ansioso di assistere al magico evento.
Fu così che al calar di quella sera
quando il giorno si scolora
ecco arrivare un uomo avanti negli agli anni
tirare a se e con amorevole perizia il suo asinello,
in groppa una fanciulla
in avanzato stato interessante.
Con incedere lento
per la stanchezza del lungo viaggio
arrivano nella città magica
in cerca di un posto per riposare,
ed ecco, bussano alla porta dell’osteria
del Caval Grigio, all’oste chiedono
un posto per riposare, ma la risposta è questa,
è notte ci son troppi forestieri;
le stanze sono tutte piene;
in quello stesso istante una campana
scoccava lentamente le sette.
Al vecchio (Giuseppe) e alla giovane donna (Maria)
sempre in groppa all’asinello non restava che
andare verso un’altra osteria, così
giungono all’osteria del Moro
anche qui dopo aver elemosinato
un posto per riposare
la risposta è sempre la stessa.
La campana scoccava lentamente le otto
Lasciata l’osteria del Moro tentano invano
a quella del Cervo Bianco,
anche qui tutto era già occupato
d'astronomi e da dotti;
in quel preciso momento
La medesima campana scocca lentamente le nove.
Ma Giuseppe, Maria e l’asinello continuano
ad elemosinare un posto per riposare
Maria è sempre più stanca sente
che il momento è quasi giunto
arrivano all’osteria dei Tre Merli,
e Maria con dolcezza infinita chiede:
pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci! Ecc…
Ma la risposta è sempre la stessa,
tutto pieno di negromanti, magi persiani, egizi…
La campana scocca lentamente le dieci.
L’ultimo tentativo presso l’osteria di Cesarea
ma anche qui la risposta è sempre la medesima
La campana scocca lentamente le undici.
Dopo aver girovagato per tutte le osterie
e mentre la neve cadeva a fiocchi
e la notte lentamente cambiava vestito
coprendosi di un bel manto bianco
videro una stalla, decisero di entrare,
finalmente un rifugio
il posto giusto per riposare,
alla mangiatoia un bue ed un asinello,
Maria già trascolora, divinamente affranta...
si distende sul letto di paglia il dolore è tanto
urla si torce, si contorce come tutte le mamme
suda, trasuda, spinge, trattiene il fiato,
ancora un urlo si rilassa,
il vagito di un bimbo appena nato si sente
libero dalla culla del grembo materno,
Maria dolcemente si rilassa sul giaciglio di paglia
il dolore camaleonticamente si tramuta in gioia
è nato, è nato colui che cambierà il mondo.
La campana scocca La Mezzanotte Santa.
Il cavaliere errante la stella della lunga coda
ecco posarsi sulla parte più alta della stalla,
la notte, che fu gia sì buia,
adesso risplende d'un astro divino.
Come di incanto iniziano a sentirsi il suono
di pifferi ed arie di cornamuse
le campane di ogni dove suonano a festa
pastori, massaie, genti vicine e lontane,
corrono verso quel luogo
verso quella umile e dolce stalla.
Tutti vedon la cometa, fulgida e splendente !
essa indica la via,
il sentiero che ognuno deve seguire.
lungo la valle nuda la carovana
dei magi d'Oriente avanza,
sono tre, sono i Maggi che tesori portano
su cavalli bardati d'argento e oro.
Il gelo è pungente
ma il pastore con l’agnello sotto il braccio va
dove la stella addita
non importa se fa freddo,
non importa se notte fonda,
non importa se non conosce la via
lui la stella segue,
la via che verso Dio porta,
la via che ognuno di noi dovrebbe seguire.
Sotto un cielo cobalto
per vicoli stretti e sguardi indiscreti
cammina una dolce fanciulla
dall’esile corpo e dallo sguardo assente.
Avvolta come sempre, in un
sciamito da pompe religiose,
in mano solo una rosa in stile antico,
tutto diventa essenza in quella dolce fanciulla
dallo sciamito che religiosamente in evidenza mette
le fattezze, di quell’esile corpo.
Con dolcezza cammina
per i vicoli stretti e sguardi indiscreti.
Salve, Totonno, amico dipartito!
Nel silenzio passasti I'ora estrema
del tuo digiuno e del ferale morbo.
Eri l' orgoglio del parlar comune
fra gli amici di piazza e ceti eletti:
figura di notevole attrattiva,
accorrente per triboli e per gioia,
donatore di sangue volontario
all’ anemico figlio o professore
negli ospedali o in cliniche private,
elargendo l' umano sentimento
di ricchezza ineguale e salutare.
L'esempio resti che trascina i cuori
a sublimi valori ed amistà
senza compensi di meschini lucri
per salvare una vita oppure vegliare
sulla salma d'un padre o d'un fratello
nelle quattro stagioni e giorno e notte.
Sempre aperto di cuore e compagnone,
e ragionavi sciolto e in simpatia
con accenti volgari e non ritratti,
senza tema di regole perfette
ricercate in grammatiche o sintassi:
pratico,e spoglio di dottrine e chiesa,
immagine di storica memoria
che trapassa ogni tempo e verità
di quadri originali e di costumi,
ormai spenti e sepolti per diletto
di telefoni in tasca e di giornali.
Un patrimonio muore e insegnamento
d' una lingua di patria somiglianza,
radice e scuola di tesori aviti.
Nel tuo mestiere, valicato ed arso
dal tenace possesso del motore,
personaggio rimani imperituro,
1' ultimo vetturale delle Pigne,
che ti vedevo dalla mia terrazza
cavalcare le bestie col foraggio,
in fila come fanti sul sentiero
della falda dell' Ilice odoroso
di corbezzoli,muschi e di ginestre,
dal segugio minuscolo seguite
che la coda e sonagli dimenava.
Per i vicoli ciechi o serpeggianti
di Luzzi antica o strade dissestate
gli animali cocciuti e con la soma
dirigevi domati per servizio
di pubblici o privati committenti.
E cosi discorrevi la giornata
o sul terreno coltivato ad arte
per le provviste della tua famiglia,
curando in Santa Venere orticello
incontro all' uscio della casa tua.
Di stanchezza motivi non donavi
o di palese affanno in conferenze
fra le birre schiumose o chiari vini
accompagnati da fumanti arrosti,
da salami e formaggi caserecci.
E qui la voce sollevavi al canto
con chitarra battente e tamburino,
e sullo spiazzo o pavimento agreste
si scatenava tarantella e brìo.
Viva il libero tempo e l'allegria,
invincibili segni dell'umore,
che spazi interminabili percorre
quando il cùbito s'alza e brinda al cielo,
agli amori segreti e alle speranze
del futuro dei figli; e nella notte
volano gli stornelli e serenate
a ragazze del cuore e degli amici,
sotto logge e finestre alla penombra,
ed il motivo di ferrate celle
in simpatica lingua ereditata:
Calavrisella nostra e regionale;
e nel giro di corna e di scappate
il luzzese di Nella e del Brigante,
di bambole scoperte in adulterio,
amanti di misura scapestrata
per cagione di talamo diviso;
ed altri recitati senza trucco
in vernacolo d'ottima eloquenza.....
Quella gita ricordi della scuola
con i figli minori per I'Italia?
Lo stupore del duomo e campanile,
ch' attirano turisti ed amatori,
ti smarrisce la vista.... eppure credi
all' opera di Giotto e Brunelleschi,
ed arrampichi meco l'irta scala
per la cupola eccelsa e lo spiraglio
da cui s'ammira il panorama rosso,
che domina Firenze delle Muse,
patria di Dante e della sua Commedia.
E mentre avvampa orgoglio del riscatto
nella Napoli vecchia e soleggiata,
fra palazzi superbi e fatiscenti,
puntellati su fetidi scaloni,
con bagagli e va ligie l’ateneò
sopra Mezzocannone raggiungemmo
per scrivere la prole a nuove scienze.
Visto il Maschio, seduti in villa aperta
con Fedele,compagno e Cicerone,
acquietammo il digiuno e la stanchezza:
rustico pranzo e un fiasco su panchina
fra barzellette e memori padroni,
che il tempo possedevano e sostanze
in un regno d' abusi e analfabeti.
Oggi invece il prodigio è libertà!
Ecco: l'androne della scuola è aperto,
e sul treno,la notte del ritorno,
s'accendeva l'immagine e il desìo,
l'orma d' un sogno di meschina classe
d'avere i figli sistemati e dotti
per debellare il pungolo e l' aratro
nell'umano diritto e parità
di nozze e di prestigio senza stemmi.....
Un male inesorabile avvilisce
il tuo corpo robusto e faticoso,
d'epa scemato, macilento e scarno;
e chiusa stalla di letame olente
gli zoccoli ferrati più non sente
e manco il raglio modulato o breve
dell' amate vetture che bardavi
con estrema perizia e religione.
Con mano carezzavi lentamente
gli enormi baffi sul tratteggio umano,
rinomato in provincia e nel contesto
di lodevoli impegni ed umiltà:
tessera e passaporto d 'un passaggio
di confini di stima e sicurezza.
Resti la voce di presenza viva
temperata a fatica ed a rispetto
del prossimo volgare e signorile,
livellando la vita in società:
grande omaggio di rara qualità
nel tempo arroventato di tangenti
di bugiardi filosofi, d'imbrogli
e vile scatto di sorpasso e droga.
Un parallelo di valori lasci
che riporta in silenzio le virtudi
fra lo sdegno dell' atro e l'alma eletta
alla guida civile, e dare esempio
per baratri evitare e precipizi
e giungere devoti in Sambucina
a dislegare i cerchi dell' abate
nell' estasi celeste e trinitaria.
Il carme geme e nelle tue parole
trova rifugio di modestia ed arte:
forse è la Verità che mi solleva
da cotanti digiuni e parassiti,
quelli che nel passaggio e nei ritardi
godono d' alta e bassa allegoria,
dimentichi di colpe e contrappasso,
e sfuggono Presepe e Redentore.
Chi sèmina ricordi e nobiltà
lungo il solco fatale e della storia
avrà suffragi fra le tombe e altari.
Père l'ignavo nelle bolge eterne,
ma tu rimani limpida memoria
di fertile calore e probità
nella debole mente di chi scrive,
nella Luzzi dei padri e dei Firrao,
dove il solco del vomere è favella
del tuo linguaggio semplice ed aperto.
Tra le date su lapide e lucerna
avrà memoria imàgo oppure oblii
nella corsa di vili e fuggitivi?
E' la mano del tempo che trafuga
la nobiltà di generoso impegno:
infame ingratitudine e dileggio
in un mondo che gèrmina denaro,
miserie di politica e morale,
di sentimenti di sublimi altezze
nei gorghi cupi di terreno imperio
che soffoca coscienze e libertà.....
E' deserta la stalla, ombrosa, muta
del melodico verso all'albeggiare,
al ritorno serale oppure a notte:
il silenzio ricopre il respirare,
l' ordinata movenza degli arnesi,
rilucenti reliquie arrugginite,
il profumo del fieno e dell' avena,
degli alberi fioriti nel giardino,
di frutti raffinati in parsimònia! ....
Erminia e Franco nel profondo lutto
piegano gli occhi, mentre scende il pianto
per la scomparsa d'immaturo affetto.
Luzzi, li 25 e 26 /11/1995 versi n. 187 Aggiunti altri versi il 9/06/1996
Dante Girardi